giovedì 10 maggio 2018

Si fa ma non si dice...Lodi



Prima lo sconcerto, poi le polemiche, infine un maldestro passo indietro anche se ormai la frittata era stata fatta. In sintesi la notizia. Nei giorni scorsi un giornale locale del Lodigiano, il Cittadino, annuncia che il reparto di chirurgia plastica e ricostruttiva dell’ospedale di Lodi sta  per varare un nuovo protocollo: personale esclusivamente femminile per le pazienti di religione islamica nonchè protesi mammarie realizzate senza membrane suine. Un protocollo pensato, secondo il primario di chirurgia Daniele Blandini - come riferito dal giornale - insieme al centro islamico della moschea locale. Scoppiate le polemiche, inevitabile il passo indietro della direzione generale dell’ospedale e dell’assessore regionale al welfare con delega alla sanità Gallera. E si è corretto il tiro. No, non sarebbe un protocollo ufficiale ma , come si legge nel comunicato della direzione ospedaliera, una “normale forma di attenzione che il medico applica all’interno del suo  reparto, pur senza essere codificata in una procedura ad hoc o in una istruzione operativa”.  Insomma, se le parole hanno un peso, si fa ma non si dice.
Uno pseudo tentativo di integrazione che sortisce, in realtà, l’effetto contrario. Nel momento in cui un luogo di cura e di scienza si piega ai dettami della religione, qualsiasi religione, apre uno spiraglio in più al retrocesso. Perchè le democrazie moderne, faticosamente conquistate anche a colpi di guerre e lotte, prevedono tutte un’eguaglianza di razze e sesso. Valori questi fondanti delle nostre repubbliche. E qualsiasi tipo di integrazione può avvenire solo se i valori repubblicani laici rimangono quelli di riferimento e non si pieghino ad altro. Altrimenti siamo in presenza  di qualcosa di alieno che è un dovere non accettare.
Infine un’osservazione. Tra i vari limiti imposti alle donne di religione islamica quello di dover affrontare le visita mediche alla presenza di un familiare uomo, quasi sempre il marito. Le nostre madri hanno lottato perchè scenari del genere appartenessero solo ad un passato remoto. Noi dobbiamo evitare che diventino un futuro condiviso.

Maria Zuppello

sabato 3 marzo 2018

La mattina del voto quando eravamo comunisti


Noi comunisti il giorno delle elezioni ci preparavamo meticolosamente con un rituale uguale da Vipiteno  a Pantelleria.
I compagni rasati perfettamente, odoranti dello stesso dopobarba,  indosso il vestito delle cerimonie,con  l'Unità ben in vista sottobraccio, si avviavano al seggio con passo sicuro.
Il voto all'apertura del seggio era quando di più urgente c'era da fare.
Una volta votato si occupavano di tutte le attività che quel giorno erano d'obbligo, andare a prendere chi non aveva autonomia a casa e portarli al seggio, controllare che negli ospedali, nelle comunità, tutto procedesse secondo la legge ed impedire che nelle strade intorno ai seggi nessuno facesse propaganda, si occupavano poi di rifornire di acqua e panini gli scrutatori e i rappresentanti di lista.
In tarda mattinata tornavano al seggio insieme alle mogli,  le donne preferivano venire più tardi, non condividevano tanta fretta, pragmatiche associavano il voto al dopo messa o alla passeggiata della sera.
Noi giovani  eravamo tutti sguinzagliati a fare i rappresentanti di seggi o i più fortunati alla funzione di  scrutatori.Quel giorno non esistevano più amici ma solo avversari.
L'imperiosità di quel  votare alle 7.00 in punto era però il primo dei doveri.
Una sorta di superstizione, intrisa di fatalismo verso eventi avversi che dopo l'apertura dei seggi potevano accadere. Una emorragia cerebrale, un ictus, un incidente, tutto era possibile.
La probabilità di tanta negatività nell'immaginario di noi comunisti aumentava a dismisura quel giorno. L'attesa era tanta e bisognava mietere quei campi arati con cura e passione attraverso vendite del giornale tutte le domeniche, riunioni su riunioni quasi settimanali, in sezione bivaccavamo praticamente tutte le sere e chiunque poteva passare.
Succedeva poi che allo spoglio questa consuetudine aveva un suo effetto illusorio pazzesco.
Le urne venivano aperte e riversate sul tavolo, cominciava la conta dei voti con un susseguirsi di Partito Comunista, Partito comunista, Partito Comunista. Non durava a lungo anzi  più passavano le ore e più si diluiva la percentuale dei votanti PCI. Io non ho mai vissuto il PCI oltre il 21%, me ne andai in Germania e quando tornai non esisteva più. Eravamo diventati  DS e poi  PD ed oggi..lasciamo perdere, non  abbiamo tutti preso la stessa strada. .

Domani sono di guardia 8-20.
Mi alzerò alle sei per poter votare alle ore 7.00 precise.
Ho chiamato i miei colleghi in Rianimazione e avvisato che prenderò servizio con qualche minuto di ritardo.
Si rimane comunisti dentro, noi siamo rimasti tutti un pò così.