sabato 14 dicembre 2013

Giuseppe Lillo, l'Italia che non si arrende


Ieri si è laureato a pieni voti Giuseppe Lillo alla Bocconi, ha completato con la specialistica in Economia dell’impresa,  il suo percorso.
La sua Tesi: Alla Ricerca di una terza via. La  corporate governance in Svezia tra permanenza e discontinuità.
Giuseppe è uno dei miei migliori amici e, sebbene possa essere mio figlio ( i suoi genitori sono più giovani di me), non vi è alcuna mia predisposizione maternale nei suoi confronti.
L’ho conosciuto per caso.
Commentava frequentemente i miei post,  anatemi mattutini,pomeridiani e notturni su Facebook.
Mi colpiva la intelligenza viva e l’acutezza dei suoi interventi.
Abbiamo bevuto una di quelle birre che rinfrescano, togliendoti la sete, ma al contempo donandoti un benessere piacevolissimo, come accade quando  conosci una bella, bellissima persona.
A Giuseppe piace parlare di storia politica, di costume, quasi ingordo del vissuto degli anni 70, conosce e legge tutto quello che gli appaia determinante, da Andreotti a Rossana Rossanda di quel tempo.

Giuseppe dal 1 gennaio lavorerà per una società finanziaria americana in Texas, a Huston.
Giuseppe ha solo 24 anni, ha una famiglia meravigliosa che mai ha smesso di credere in questo ragazzo eccezionale.

PS. Capita e qui lo scrivo con commozione estrema, che in una tesi laurea della Bocconi, di leggere affetto e stima e vedere il mio nome insieme a quello della sua Famiglia e a della Thatcher.
Grazie Giuseppe. Ti voglio un casino di bene.

giovedì 12 dicembre 2013

Diritti ma anche Doveri


Anni fa quando Albertini voleva dare più tassisti a Milano improvvisamente noi pendolari scoprimmo, forse perché negli anni 70 eravamo bambini, che fosse possibile in Italia bloccare la vita di una Regione bloccando l’autostrada Milano Laghi.
Non era una protesta che si potesse condividere, era una violenza che ognuno di noi subiva rimanendo ore ed ore bloccato in un inferno senza fine.
I Forconi attuano la protesta con la stessa tecnica.
Non formano un democratico corteo.
Si piazzano a Loreto e impediscono che un nodo del traffico cittadino vitalissimo scorra.
Le code sino a Piazzale Lodi. L’incazzatura generale a mille.
In Puglia a Ruvo, Andria, ma sono moltissimi i centri pugliesi e non, hanno obbligato i commercianti volenti e nolenti a tenere chiusi i negozi per due giorni. Molti hanno subito minacce e in qualche caso vere e proprie intimidazioni.
Questo è significato addio al pescato, addio agli acquisti dei verdurai, congelamento delle carni da troppo in frigo, ma soprattutto addio per molti all’incasso di un quotidiano necessarissimo, incasso precario e da cui dipendono molte tratte bancarie.
Non avendo padri, il Movimento non ha un Servizio d’Ordine, per cui i capopolo accusano di avere degli infiltrati che usano la violenza , ricusandone una paternità.
Un po’ come dire ho un corpo ma non controllo un braccio e se spacca le vetrine non è colpa mia.
Quanto però più impressiona è il livello culturale e sociale dei “forcaioli”.
Parlano di essere stufi di pagare le tasse!
E’ vero, tutta Italia soffre la pressione fiscale, a cominciare dai redditi che superano i 10.000 euro l’anno si versano cifre indecenti che uno stato irresponsabile chiede.
Interessante è però andare a chiedere ad ognuno il lavoro svolto e le dichiarazioni dei redditi presentati negli anni precedenti.
Si scoprirà che la gran parte non ha mai fatto denuncia di qualsiasi somma, si tratta di quel humus italiano a cui la politica aveva sempre fatto un occhiolino e la finanza pure.
Molti sono “braccianti” che si fanno mettere le giornate da proprietari compiacenti, per poter avere il sussidio di disoccupazione, moltissimi sono commercianti di piccoli e fallimentari negozi che sopravvivevano con qualche merce venduta per caso, inghiottiti dalla “macroeconomia” di Mediaword, Esselunga e dei “cinesi”.
Gente incapace di riciclarsi, come il il negozio di frutta e verdura sotto caso che è fallito perchè vendeva a prezzi di boutique la sua merce senza offrire eccellenti prodotti.
Molti sono dei fancazzisti veri e propri, quelli che trovi in piazza, sempre pronti ad accendersi come la paglia al solo avvicinarsi del cerino.
Moltissime sono anche donne a cui il precariato qualcosa garantiva, in nero, ma lo garantiva.
La Crisi ha scoperchiato una pentola di questa massa incolta, figlia di "Maria De Filippi" e Format simili, figli del nero che mai nessuno ha voluto scoperchiare, una massa poco incline a parlare di diritti ma anche di doveri, impreparata a sopravvivere ad un taglio del superfluo che ci ha resi quasi tutti più poveri, ma a moltissimi ha tolto l’ossigeno per sopravvivere.
La crisi è opera di quei politici che a “Maria” pagavano milioni di Euro per drogarli il pomeriggio alla TV e al Sabato, politici atti a fare leggi ad personam, quando l’Europa ci chiedeva riforme e il povero Schroeder pur di garantire alla Germania un futuro le fece e perse l’elezione.
Si perché se si ama la propria nazione ,oltre a sparare stupidate, sulla nazione e la bandiera, si fanno riforme anche impopolari.
Non ne hanno fatte e oggi capeggiano, nemmeno troppo dietro le quinte, questa rivolta.
La rivolta di un popolo stupido a cui dare delle brioche è il minimo che si possa fare.
Si accontenterebbero.
Il Redito Minimo Garantito per molti casi di disperazione vera è la soluzione, se non fosse che questa Italia vive in troppi casi di imbroglio allo Stato.
Assicurarlo nei casi di disagio economico accertato è la unica risposta che la POLITICA deve dare.

giovedì 5 dicembre 2013

13 delle 100 ragioni per cui sostengo Giuseppe Civati segretario del PD




La storia politica e personale  di ognuno di noi è segnata da una scelta di vedere il Mondo “insieme” attraverso  un progetto che è partecipazione, dialogo, cittadinanza attiva, capacità di proporsi quale componente di una una Governance all’interno di una società che vuole crescere insieme, avendo come capi saldi un obiettivo comune: una Italia che ci accoglie I Diritti di Tutti.
1- Dichiarazioni Anticipate di Trattamento (giornalisticamente detto Testamento Biologico) e il suo impegno a colmare un vuoto legislativo ormai insostenibile.
2- Difesa della 194 da  chi a colpi di piccone la vuole svuotare.
Unico tra i candidati alla segretari a dire chiaramente cosa pensa  della Delibera di Firenze sui Cimiterini.
3- La legge 40,quella sulla procreazione assistita, va cambiata e con urgenza.
4- I Diritti degli immigrati. Non possiamo pensare che giovani nati in Italia, figli di immigrati,non abbiano diritto di cittadinanza.
5- Il diritto all’Istruzione:  No agli F35, quei soldi vanno dati a  scuola e  salute.
6- Il Diritto per esempio di abbassare le aliquote, incredibilmente in Italia  chi guadagna 30.000 Euro lorde paga il 38% di aliquote
7- Voglia e politiche in Europa, standoci a testa alta, con politiche adeguate.
8- la difesa del Suolo, zero metri quadri di nuove costruzioni, recupero delle volumetrie esistenti, dei centri storici. Il PPTR della Regione Puglia Civati lo difende perché sposa in pieno ogni suo presupposto.
9- "I circoli del PD devono considerarsi luoghi di confronto e di elaborazione politica per tutti i cittadini, iscritti e non iscritti (si veda il progetto dei «Circoli aperti» a Bologna o l’attività del Circolo Copernico di Cagliari), e puntare ad essere soggetti attivi per la condivisione delle scelte e per la diffusione delle informazioni."
Questa è l’idea di partecipazione che ho io, ad oggi negata da larga fascia del PD che conosciamo.
10-   Civati non parla di Politica di Genere, non parla di Questione Femminile.
“E’ di  Questione Maschile che si tratta: c’è una cultura maschilista e violenta che sta producendo ingiustizia, crimini e danni irreparabili alla crescita economica del paese.”
11- Coerente: non ha votato questo Governo e da subito si è adoperato ad un dialogo che non portasse alla vergogna dei 101.
12- Civati è la speranza perché questo PD non rottami quanto di buono esiste ma che riprenda in mano l’identità che più ci è cara: la consapevolezza di essere un partito di sinistra, a cui la società civile possa guardare con la fiducia negli occhi dei nostri figli.
13- io Voto Civati perché non sono democristiana e questo è arcinoto.Escluso uno.
Non posso votare nemmeno l’altro, perché Dalema non è l’uomo che ha fatto bene alla sinistra in questi 40 anni e nulla fa presagire  possa fare bene nei prossimi.

martedì 12 novembre 2013

Il Labirinto - Appunti per un percorso nudo. La 194 al SUD.



 Abortire in una città del Sud, il percorso di Emma.
                                                             


Sono una giovane donna di 28 anni, ed un giovanissimo medico in formazione, e come tale non posso non interrogarmi sull’obiezione di coscienza. In questo percorso di vita e professionale, mi è capitato di trovarmi, a proposito di Legge 194, “dall’altre parte”, senza camice: i primi di agosto 2013 mi sono sottoposta ad una interruzione di gravidanza, ed ho scelto la RU486.
Dopo non poche tribolazioni.
Inutile dire che a 28 anni un figlio ci pensi a tenerlo, e molto concretamente.
I motivi che hanno portato me e il mio compagno a questa scelta sono molti, ma per quanto questa scelta sia stata ponderata, anche drammaticamente vissuta da parte di entrambi, ciò che più ci ha feriti, ciò che più sta pesando nella elaborazione necessaria di questo evento, è stato il percorso, le vicende che abbiamo dovuto affrontare sul piano pratico. “e 'l modo ancor m'offende”, viene da dire.
Alcune considerazioni preliminari: io sono una donna in una posizione assolutamente privilegiata. Sono un medico, mi sto specializzando, cioè lavoro, in uno degli ospedali più grandi ed organizzati di ……., ho un compagno stabile e provengo da una famiglia benestante. Ovvero ho una buona base sociale, economica e culturale di provenienza. Tutte cose che sanciscono, appunto, il mio vantaggio. O quantomeno presunto tale.

Accertata la gravidanza, mi sono rivolta alla mia ginecologa: 35 anni, laurea e specializzazione nel mio stesso Ateneo, esperienza all’estero, rampante ed aggiornata, non mi ha sostenuta in questo percorso. Comunicatale la mia decisione di interrompere la gravidanza, mi ha detto di essere obiettrice e di non poter dunque in nessun modo, in coscienza, sostenermi in una decisione di questo genere. Soprattutto come donna, solo dopo come medico. Il nostro rapporto medico-paziente si è interrotto lì, come è facile immaginare.
Mi sono dunque ritrovata nella condizione di dovermi orientare da sola.
Ho lambito le sponde della Ginecologia ed Ostetricia del Policlinico ……….., dove mi sono resa conto che trovare un medico non obiettore è cosa complicata quanto cercare il famoso ago nel ben noto pagliaio: per giunta, i medici non obiettori vengono detti e presentati apertamente come "gli abortisti". Questo tanto per far cogliere l'atmosfera. Non ho indagato se tutti gli obiettori avessero ogni anno riconfermato il certificato d'obiezione, ma non credo di dover spiegare oltre il mio perplesso disappunto difronte ad una situazione del genere.
Mi rivolgo dunque contestualmente a due fronti: il Consultorio della mia Circoscrizione, e l'Ospedale ……….., centro di coordinamento per la regione………. per la 194.
Al Consultorio, dopo un’attesa di più di un’ora (sono arrivata alle 8 del mattino, come da cartello con orari di ricevimento) su una poltrona sfondata, accedo alla visita ginecologica, fortunatamente celere perché - per quel famoso vantaggio di cui sopra- avevo portato in visione due dosaggi bhcg ed ecografia con tutti i parametri fetali. La ginecologa dopo il colloquio mi invia in segreteria dove mi prendono un appuntamento con lo psicologo del centro. E a quel punto c’è stata una scena degna della migliore commedia all’italiana! Cito testualmente:"se poi lo psicologo non c'è, il colloquio lo fai con me." La Signora XX, è la segretaria del consultorio, dotata evidentemente di laurea in Psicologia presa per meriti sul campo. La solerte psicosegretaria, dopo una serie infinita di telefonate al centralino dell’Ospedale A , si prende i miei recapiti e, comprendendo la mia premura nel voler accorciare il più possibile i tempi, mi dice che sperava di riuscire a ricontattarmi in giornata per darmi un appuntamento; finalmente, nel pomeriggio, apprendo che ho un appuntamento per IVG all’Ospedale A il 13 agosto, ovvero allo scadere della 7 settimana. Di RU486, nemmeno a parlarne.
Fin qui, tutto sommato, psicologhe improvvisate a parte e qualche dettaglio sulla varia umanità che girava nel consultorio, tutto ancora accettabile.
Mi reco ……….: lo scenario è apocalittico.
Già il giorno precedente, raggiunto telefonicamente il centro di coordinamento, mi dicono di presentarmi molto presto:"Presto quanto?"-"Eh signorì, le 5, le 6...veda 'n po' lei...noi aprimo pe'le 7.30...". Bene. Alle 7 sono in ospedale. Trovo il padiglione di Ginecologia ed Ostetricia, entro ed un infermiere sorridente mi accoglie premuroso. Buon segno.
Gli dico che cerco il centro per le IVG.
Il sorriso sparisce:"Ah no, per quello deve uscire fuori e scendere giù". Senza sorriso e senza premura, stavolta.
E quello "scendere giù" ancora non avevo idea che fosse una sorta di discesa agli inferi.
Infatti sulla destra, c'è una scala di ferro che fa un angolo di 90' e ripidamente porta in un sottoscala all'aperto.
Muri rovinati, calcinacci, neanche una sedia, nemmeno un tetto dove ripararsi dal sole che comincia a farsi sentire anche lì sotto.
Sono le 7.00, siamo già una decina. Per lo più trentenni, italiane, slave, un paio di nordafricane.
Alle 7.30 siamo una trentina.
E' estate, non può piovere, ma tra un'ora a ..... l'asfalto sarà già rovente e l'aria irrespirabile. Penso che sono fortunata a non essere lì a dicembre, che invece piove fa freddo e l'asfalto non si asciuga mai.
Alle 8, finalmente, le infermiere aprono la porta in vetro e metallo: siamo tutte in fila dietro un gabbiotto, una dietro l'altra, attaccate, ed ognuna può ascoltare i racconti delle altre.
Le donne non italiane sono aumentate, e tra gli infermieri ci deve essere la falsa credenza che urlando al paziente di lingua straniera, questo possa subire una sorta di epifania linguistica e comprendere l'oscuro messaggio che si sta cercando di comunicare: ”MA TU HAI PORTATO DOCUMENTO? NO DOCUMENTO NO OPERAZIONE!! NO NO NO!".
Sono intervenuta due volte, in francese e in inglese, perché due ragazze erano in lacrime. Una delle due, marocchina, mi ha poi raccontato in uno straccio di intimità, che abortiva il figlio di una violenza non denunciata.
Finalmente è il mio turno, mi danno un quadrato di legno giallo con un numero scritto a penna e mi siedo con tutte le altre lì, nello stesso stanzone dove si sta in fila al gabbiotto.
Il colore del cartellino che ci viene consegnato ci identifica per diverso destino: c’è chi è in prima visita, chi si sottopone all'interruzione quel giorno stesso, chi è lì per la visita di controllo. Davanti a noi 4 stanze, sulla destra un corridoio che porta, ci sembra, al blocco operatorio.
Sedie rotte, sudiciume, muri sporchi, illuminazione scarsa, personale ovviamente adeguato a questo standard di ambiente lavorativo.
Mi chiamano da dietro una porta socchiusa. Entro e mi presento subito come una collega: si prendono copia degli esami ematochimici e dell’ecografia che avevo portato e scorrendo il calendario mi fissano direttamente l’appuntamento per l'interruzione chirurgica al 10 agosto. Ma devo tornare "dopodomani", per ripetere analisi ed ecografia e firmare le carte.
A quel punto, chiedo la RU486.
L'infermiera, dopo avermi detto che in quella struttura ospedaliera solo 3 medici su 31 non sono obiettori, mi dice che loro lì ne somministrano solo per 7 al mese (è mai possibile?!) e che per agosto sono già tutte occupate, forse però una ragazza rinuncia: “Torna dopodomani che ti faccio sapere".
Dopodomani torno e mi dicono che il posto non s'è liberato, però c'è una possibilità: il Dottor B.
All'Ospedale di ,,,,,,,. . A 130 km dalla mia città.
Sono sempre più stupefatta.
Su tutto il territorio di questa immensa area metropolitana, non c'è un ospedale in grado di fornire questo servizio, sancito per legge!!!
Devo andare a ……..!!
Sempre perché dotata di quella posizione di vantaggio di cui sopra (che in questo caso significa anche avere una macchina e un'amica con una casa a 90 km dall'ospedale, disposta ad ospitarmi per un paio di notti), telefono a quest’ultimo Ospedale dove, senza bisogno di presentarmi come medico, mi danno un appuntamento rapidissimo quella stessa settimana, e dove mi sono trovata benissimo, sia sotto il profilo professionale che sotto quello umano.
Questa mia esperienza mi fa ragionare su diversi aspetti, sia medici che sociali, o sociologici se preferisci. Riflessioni dolorose, in ogni caso. Ho l'impressione che si stia tornando indietro di anni su questi argomenti di civiltà, su questi ormai (speravo) assodati diritti umani. Di educazione sessuale nelle scuole nemmeno l'ombra, i consultori sono usati per nemmeno un terzo delle loro potenzialità, il bigottismo da un lato e la medicina difensiva dall'altra ci mettono davanti una situazione dove siamo sempre più lontani da quello medicina sociale che deve continuare a marciare, a mio parere, sotto l'egida della laicità, e del diritto alla salute, a favore del malato e al fianco dei colleghi, non contro o difendendosi da queste figure, una volta amiche ora solo degne di sospetto.
Ricevo e volentieri pubblico.
L'affossamento della 194 ha molti volti.
Emma è una mia amica, mi ha scritto poche ore fa e dato il consenso alla pubblicazione del suo percorso. Spero serva a ccomprendere quanto la 194 è sempre più fragile.

domenica 10 novembre 2013

Da domani forse obietterò anch'io

Da domani forse obietterò anch' io.

Dal 1995 lavoro in Lombardia e sono un’anestesista non obiettora. Prima lavoravo in Germania, era un Ospedale confessionale e nessuno mi pose la domanda di obiezione, non si facevano  interruzioni di gravidanza e basta. Poi all’Ospedale di Garbagnate: mi sono rimaste impresse le battutine dei miei colleghi obiettori su “Erode” rivolte a noi non obiettori. Ma ci passavo sopra. Sono sempre stata una militante assoluta.
La lotta per la 194 è stata una pietra miliare della mia vita politica e della generazione a cui appartengo. “Non si torna indietro”: articolo primo della mia militanza.
In tutti questi anni non mi è particolarmente pesata la non obiezione, perché ne ho sempre avvertito la necessità sociale, pur costringendomi a una parte del lavoro che non mi piace.

Le donne che si rivolgono alla 194 sono cambiate.
20 anni fa erano tantissime e quasi tutte italiane: studentesse universitarie, casalinghe disperate, situazioni amorose difficili, donne metropolitane al quarto figlio in 70 metri quadri, giovani coppie non ancora stabilizzate, concepimenti per rottura di condom, figli di violenza sessuale e incesti.
In questi anni le donne sono cambiate.
Spesso hanno 13-14 anni, arrivano accompagnate dai genitori o con la lettera di accompagnamento del giudice tutelare, ragazzine sperdute con lo sguardo già spento, con mamme premurose e ansiose che passino quelle ore. Sono donne straniere: moltissime musulmane con altissimo numero di interruzioni. Albanesi, marocchine, ecuadoriane, peruviane. Moltissime badanti. Anche donne rom: ma quelle c’erano anche negli anni 90, non sono cresciute in termini percentuali. Prostitute. Non rare le gravidanze frutto di violenza e negazione dell’amore.
Meno frequenti le italiane tra i 25 e 40 anni: a quella età i figli si vogliono e c’è una maggiore stabilità economica. Le donne italiane abortiscono spesso prima e dopo questa età, quando la precarietà economica le colpisce di più. Tante hanno perso il lavoro, tante raccontano situazioni disperate con il marito in cassa integrazione.

In questi 18 anni ho sempre lavorato con la certezza della necessità di quello che facevo, e del dovere di non obiettare, pur non piacendomi assolutamente farlo. Sapevo di avere con me tutto il movimento delle donne.
La recente delibera di Firenze mi ha fatto sbattere la faccia contro una realtà amara.
Le donne non sono più unite sulla necessità della difesa della 194 da tutti gli attacchi.
Molte pensano che chiedere a una donna se vuole dare sepoltura all’embrione che sta abortendo sia una cosa NORMALE. E che tra i cimiteri dei feti e la 194 non vi sia connessione.
Sarebbe quindi normale un medico che chiede alla donna se vuole fare il funerale al feto che sta abortendo. La giustificazione è quella del superamento del dolore!
Sembra un film dell’orrore: embrioni amati e rifiutati dalle donne, come le migliori Madri di  Nicky Saint Phalle, quelle grasse e colorate che dopo averli partoriti se li mangiano. E poi altri embrioni non amati, non riconosciuti e buttati nei rifiuti speciali. Embrioni di serie B, figli dell’amore malato.
A questo ci ha portato l’estremismo cattolico ed è da questo che ci dobbiamo difendere, da cui le donne si devono difendere. Vedo invece molte che difendono aprioristicamente i cimiteri dei mai nati: è quanto di più triste mi sia capitato nella storia della mia militanza civile.
Per 18 anni, care donne schierate e no, ho sostenuto concretamente la legge 194.
Ora cavatevela da voi.
Io ho dato.