lunedì 19 maggio 2014

Il ricatto dei taxisti non vincerà sulla tecnologia e la creazione di nuove aziende

                                                         
Basta con i ricatti dei tassisti.
Non si può stroncare la creazione di nuove imprese riproducendo vecchie e distorte logiche.

In  economia si definisce “rendita di posizione”  il provento aggiuntivo ricavato da un bene per la sua posizione particolarmente favorevole. Ciò significa che quel bene non produce ricavi per ragioni ad esso intrinseche, ma per le circostanze favorevoli. Un esempio classico di rendita di posizione é il paese con un solo supermercato. Tutti andranno a far la spesa lì non perché quel supermercato offra la merce o i prezzi migliori, ma perché non si ha scelta, non si ha alternativa. In alcuni casi le rendite di posizione sono giustificate: sarebbe impensabile far aprire 20.000 supermercati in ogni borgo d’Italia. In alcuni casi esse non solo sono ingiustificate, ma arrecano un danno al consumatore, che si vedrà costretto a pagare di piú per un servizio che potrebbe benissimo costare di meno.
La complicata questione dei tassisti, in Italia, è un classico esempio di rendita di posizione ingiustificata. Parto subito con una premessa: nessuno vuole accanirsi contro la categoria dei tassisti e sappiamo bene che abbiamo di fronte gente certamente non ricca e non privilegiata. Non sono loro i colpevoli, essi sono semmai le vittime di una classe politica scellerata che per decenni li ha protetti pur sapendo che andavano incontro ad un destino inesorabile. Non è stata, infatti, una legge che agitava lo spettro del libero mercato a farli protestare nuovamente, come era accaduto ai tempi di Romano Prodi col decreto liberalizzazioni, ma la tecnologia, che ha permesso a dei ragazzi svegli e intraprendenti di creare un’applicazione che offrisse un servizio analogo e sostitutivo del taxi. Uber, infatti, è un’applicazione scaricabile su smartphone che consente con semplicità e a costo zero di noleggiare un’auto con autista incluso. Chiaramente il servizio offerto è lo stesso del taxi, con la differenza che chiamare un taxi costa (anche parecchio a volte) mentre l’applicazione è gratuita. Abbiamo appreso dai giornali che i tassisti sono già col piede di guerra e che il comune di Milano prenderà presto una decisione.  Personalmente trovo che la decisione debba essere presa dal Governo e non da un comune, trattandosi di un problema di carattere nazionale. A parte questo, illustrerò le ragioni per cui un governo di centrosinistra dovrebbe essere a favore di Uber.
Le ragioni, a dire il vero, sarebbero tantissime, ma elencherò le tre principali:
1) Si creerebbe maggiore concorrenza e questa farebbe abbassare i costi, a beneficio della collettività. Chiunque abbia viaggiato in Europa o nel mondo, saprà che il taxi, in quei Paesi in cui il mercato è stato liberalizzato, è spesso l’alternativa più conveniente. A New York in molti casi è persino più conveniente dei mezzi pubblici. Idem a Barcellona, a Madrid, a Berlino;
2) Uber favorirebbe l’ingresso nel settore del trasporto privato di nuovi operatori, quindi si verrebbero a creare più aziende, più posti di lavoro, e più servizi. Una vera manna dal cielo in tempi di crisi. Peraltro, si tratterebbe di posti di lavoro a favore delle categorie più deboli, quelle a basso reddito e con bassi livelli di istruzione;
3) Uber, nel creare maggiore competizione, darebbe un incentivo a migliorare il servizio offerto. Scomparirebbero, così, furbate come le famose “tariffe truccate” dei tassisti romani a danno dei turisti giapponesi, e metteremmo la parola fine al problema dell’abusivismo.
Le ragioni dei tassisti sono altrettanto numerose e alcune comprensibili, una su tutte il fatto che questi abbiano speso migliaia di euro per acquistare la licenza.

A mio parere, questa motivazione é totalmente priva di senso. Chi esercita la libera professione, ma anche chi svolge attività d’impresa, sa benissimo che in ogni momento si corre il rischio che un domani un concorrente più bravo e più capace possa sottrarre clienti, e non importa quanto tu abbia investito per la tua formazione o per la tua azienda. È il famoso “rischio d’impresa” che si insegna nella prima lezione di economa aziendale. Non si capisce per quale ragione questa categoria debba esserne esentata. Offrono un servizio che non richiede nessuna competenza specifica, tranne quella di saper guidare e di aver memorizzato le strade (oggi col GPS neanche quella), e tuttavia si arrogano il diritto di paralizzare un’intera città per difendere il loro particulare, il loro interesse di categoria. È arrivato il momento che il Governo compia delle scelte coraggiose perché siamo stufi di veder trionfare l’Italia delle corporazioni e delle lobbies. Vogliamo vivere in un Paese democratico e liberale, in cui siano gli interessi di tutti – e non di una parte – ad essere salvaguardati. 

Giuseppe Lilllo Milano 20.05.2014 

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